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Vorrei fare l’imprenditore (in Australia)

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Valentina Todoro, studente con tendenze imprenditoriali

Tra poco mi laureo e ho davanti a me una scelta per me complicata, trovarmi un lavoro in un’azienda o provare ad aprire la mia. L’Italia non manda messaggi particolarmente positivi, sia in termini di sviluppo economico sia per quanto riguarda le speranze personali. C’è però una “sovrastruttura”, un layer parallelo, in cui le persone più giovani sono immerse e che si chiama Internet, che ci apre le porte al mondo esterno e che alimenta il nostro ottimismo. Siamo cresciuti in un mondo dove la realtà in cui ci troviamo non gioca esattamente a nostro favore, mentre quella finestra virtuale e il resto del mondo sembrano mostrarci un’altra definizione di ciò che è possibile fare nella propria vita. Le abitudini e le realtà passate dell’Italia sono solo una parte della vita che viviamo, anche se sono un forte disincentivo all’intraprendere iniziative personali.

Non sono ancora sicura di poter trasformare la mia idea in una startup vera e propria, ma vorrei confrontare la mia esperienza italiana con quella australiana. Tempo fa ho iniziato a lavorare ad uno dei progetti emersi dai corsi seguiti in università. Ne ho parlato un po’ in giro, ho raccolto feedback e iniziato ad elaborare una strategia. Poi mi sono trasferita per un periodo di studio in Australia, terra che mi ha stupito per la sua semplicità di relazione e per l’ottimismo.

Una volta lì ho iniziato a muovere i primi e tangibili passi per impostare la mia startup: corsi di imprenditorialità, incontri organizzati da giovani imprenditori, sessioni di aiuto reciproco e condivisione dei progetti e dei problemi.

La paura di condividere l’idea e che gli altri la potessero copiare se ne è andata piano piano. In media il feedback è stato: “Il fatto che tu creda sia una grande idea non significa molto. Se tu non la realizzi, rimane sulla carta. Se non raccogli pareri, l’idea muore di asfissia”. Sembrerà uno stereotipo, ma il ritorno in Italia non è stato semplice e l’atmosfera attorno al progetto si è incupita. E’ possibile che le reazioni meno entusiaste siano dovute allo stadio più avanzato del progetto, quando non si tratta più di incoraggiare a creare ma di dare una mano a costruire l’app, il sito, gli algoritmi, la struttura di governance. E trovare i fondi. In generale, le risposte delle persone sono più ciniche e lente. Soprattutto quelle che hanno più esperienza. Mi domando, se vogliamo essere giovani imprenditori in Italia, come facciamo ad essere presi sul serio?


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